mercoledì 2 novembre 2016

Riflessioni su rischio e maternità


"Il senso del rischio sta facendo perdere la maternità alle donne"
cit. Anita Regalia


Condivido con voi le mie riflessioni, liberamente ispirate alla citazione della Dott.ssa Regalia durante il Convegno "Nascere a Casa si può: Noi ci siamo", Milano 29ottobre 2016:
  1. Il "senso del rischio": perché parlare di "senso"?Ovvero il punto di vista della Madre... Fin da bambine cresciamo con l'idea  che partorire porti inevitabilmente con sé dei rischi. Parto e rischi vanno di pari passo nel nostro bagaglio socioculturale, infatti viene spontaneo alla maggior parte delle donne che si affacciano all'idea della maternità rivolgersi ad un medico (specializzato nella patologia). Perché andare dal medico se tutto procede normalmente? Perché "se succedesse qualcosa...": ecco quel "senso del rischio"! Perché mai dovrebbe succedere qualcosa visto che si tratta di una normale funzione biologica comune ad ogni mammifero e che avviene da migliaia di anni con successo? Perché non ci viene lo stesso dubbio sulla capacità, ad esempio, dello stomaco di digerire? Sempre di norma biologica si tratta! E' così forte e radicato dentro di noi quel "se succedesse qualcosa" che non possiamo fare a meno di affidarci ad esami, macchine, farmaci e integratori così da poter mettere la coscienza a posto e non rischiare a posteriori di essere divorate da quel senso di colpa (sempre in agguato) per non aver fatto di tutto per prevenire il rischio...anzi, il senso di rischio!
  2. Il rischio: perché si da per scontata l'esistenza di un rischio di fronte ad una norma biologica?Ovvero il punto di vista del professionista...Partiamo un poco a monte. Partiamo dal momento in cui la crescente cultura della delega ci ha portate definitivamente a metterci nelle mani di qualcun altro. Delegare il proprio stato di salute a terzi implica deresponsabilizzarsi e riversare la responsabilità a questi: quando l'obiettivo viene raggiunto con successo ne lodiamo le capacità e la professionalità, quando invece l'obiettivo viene mancato ne rimarchiamo le negligenze, talvolta con una denuncia! Ma proprio il crescente numero di denunce ha fatto sì che prendesse campo una medicina difensiva (e quindi più aggressiva) che mette al centro il rischio e che organizza il piano assistenziale intorno ad esso e alla sua prevenzione...
  3. Perdere la maternità: da esperienza fisiologicamente prevista dalla norma biologica a meccanicismo, passività, obbligo, trauma, medicalizzazione. Che significa? Una donna "perde la maternità" quando si sente vittima di imposizioni da parte di terzi (siano esse un piano terapeutico o la messa in atto di manovre che forzino o accelerino, nonché la somministrazione di farmaci e terapie). Da mammifero normalmente precostituito per mettere al mondo, essa si sente oggetto della messa in atto di protocolli atti a prevenire un rischio. Ed è proprio in nome di questo rischio che la medicalizzazione prende il posto della biologia. Una madre a cui è stato imposto un parto indotto (in nome di un rischio), è una donna che ha perso la maternità. Così come un'altra a cui è stato imposta una posizione durante il travaglio o il monitoraggio continuo, o la donna a cui viene somministrato un farmaco per accelerare il travaglio o a quella cui è stata negata una legittima richiesta (mangiare, bere, cambiare posizione, assumere una posizione particolare...), hanno perso la maternità...
  4. "Perdere la maternità" vuol dire anche perdere il proprio ruolo biologico di protagonista dell'evento nascita. Ruolo che in parte viene sottratto dal rischio stesso, intorno a cui si svolge e si organizza tutto il piano assistenziale, in parte da coloro i quali si ergono a paladini della prevenzione di tale rischio, mediante tutta una serie di manovre terapeutiche difensive e talvolta aggressive....
  5. "Perdere la maternità" infine vuol dire perdere un'occasione. La maternità infatti può essere un percorso di crescita, maturazione, autodeterminazione, superamento dei propri limiti, acquisizione di coscienza del se e di consapevolezza verso il proprio corpo e i propri strumenti, conoscenza e comunicazione col bambino... Obiettivi che posso raggiungere solamente vivendola da protagonista e non delegando ad altri ciò che biologicamente mi compete!
Siate le protagoniste e non lasciate mai che le decisioni di altri vi scorrano addosso trovandovi passive spettatrici, non perdete l'occasione della maternità!

venerdì 7 ottobre 2016

Chi ha paura del parto a casa? (E perchè?)

Sicuramente molti medici.
Ma anche molti futuri genitori.

Proviamo a capire cosa spaventa e preoccupa rispetto alla scelta di accogliere il proprio bimbo tra le mura di casa propria o in una casa maternità...

Non molto tempo fa, più per "gioco" che seriamente, ho lanciato tramite il mio profilo facebook una specie di sondaggio a risposta aperta proprio per capire cosa le mamme e i papà pensassero del parto a casa.
La maggior parte di chi ha risposto che non partorirebbe a casa ha spiegato di avere paura che possa succedere qualcosa alla madre e soprattutto al bambino, a seguire una discreta percentuale di persone ha spiegato che il problema legato ai costi dell'assistenza sicuramente li inibirebbe nella scelta e infine un altro motivo sembra essere strettamente legato a ciò che penserebbe o pensa chi ruota intorno alla coppia, futuri nonni in particolare, ma anche amiche e medici ginecologi.

Problema dei costi a parte, che comunque quando c'è vera e totale convinzione e determinazione probabilmente può essere gestito e programmato, credo che ad oggi in pochi realmente conoscano come avviane una nascita extraospedaliera, la preparazione che c'è dietro, l'assistenza delle ostetriche e la loro formazione.
Io stessa i primissimi tempi della mia libera professione, fresca di una formazione prettamente ospedaliera e molto ignorante rispetto a ciò che ruota attorno ad una nascita a casa, pensavo che probabilmente potesse essere più rischioso partorire tra le mura domestiche rispetto alla sala parto, salvo poi ricredermi proseguendo con la formazione extrauniversitaria e grazie all'esperienza sul campo.
Molti dei medici che contestano questa scelta, d'altra parte, credo che non abbiano assolutamente un'idea realistica di come si preparino e si svolgano l'assistenza, il travaglio, il parto e il puerperio stessi. Mi chiedo quale immagine richiami loro alla mente il parto a casa: quella dell'antenata  dell'inizio del secolo scorso che non aveva alternative e si affidava al destino o allo Spirito Santo, in condizioni igieniche proibitive, al freddo, senza particolare strumentazione a disposizione della levatrice se non acqua bollente e panni puliti?
E voi che state leggendo e vi sentite parte di quella maggioranza spaventata dai possibili rischi, quale immagine avete?

Partiamo dal presupposto che nessuna di noi ostetriche ambisce a finire dietro le sbarre. Uno dei nostri obiettivi primari è proprio la sicurezza di Madre e Bambino. Però assistiamo (quando le condizioni ci rassicurano, altrimenti no) le nascite a casa. Questo significa che crediamo non esistano rischi che non siano praticamente assimilabili a quelli ospedalieri, e le evidenze scientifiche attualmente a nostra disposizione ci vengono in supporto.
E poi naturalmente crediamo anche in tanto altro: nell'importanza della continuità assistenziale, della relazione One-to-One tra Donna e Ostetrica, in un'assistenza cucita su misura, nel rispetto di tempi e necessità individuali, nell'importanza del diritto di scelta della Donna...

Ecco che nasce nel 1981 l' Associazione Nazionale Culturale Ostetriche Parto a Domicilio e Casa Maternità, che ci unisce e riunisce nella condivisione di obiettivi comuni, di Linee Guida e di una formazione sempre in aggiornamento, assicurandoci il confronto costruttivo e la possibilità di crescita professionale a garanzia di serietà e sicurezza sempre maggiore per le Famiglie che ci scelgono.


Questo è un anno importante per l'Associazione, perché il 29 OTTOBRE si svolgerà il Convegno Nazionale NASCERE IN CASA SI PUO', NOI CI SIAMO, un'occasione imperdibile per informarvi sotto ogni aspetto, rassicurarvi (speriamo), sciogliere dubbi e domande.
Tutto ciò che riguarda il parto in casa, dalla scelta alla selezione, dall'assistenza fino alla gestione degli imprevisti, ma anche agli aspetti logistici, verrà affrontato da parte dei gruppi regionali delle ostetriche associate, perché non vogliamo che nulla venga lasciato al caso, vero punto di partenza per una scelta consapevole!


Vi aspettiamo mi raccomando ;-)



mercoledì 28 settembre 2016

IL SENO: nutrizione, risposta, relazione...dipendenza? Riflessioni sull'allattamento prolungato quando la mamma "non ne può più"

Siamo alla vigilia della SAM 2016, la Settimana Mondiale dell'Allattamento, e ho voglia di mettere giù alcune riflessioni che da un po di tempo a questa parte mi frullano nella testa e vorrei condividere con chi avrà voglia di leggerle.

Le neomamme ci chiedono spesso aiuto e sostegno nell'intraprendere e avviare al meglio l'allattamento al seno o accompagnarle attraverso una cultura che preferisca l'alto contatto, il contenimento del neonato, il portarlo addosso e il dormire con lui.
Oggi però veniamo chiamate (magari da quelle stesse madri) anche per aiutarle a smettere o diminuire il ritmo con cui i figli chiedono il seno perché i bimbi sono grandi e non accennano a staccarsi quanto piuttosto a continuare un allattamento a richiesta che per esse alla lunga diviene talvolta "soffocante" e percepito come una carenza di libertà e tempo per se o addirittura una dipendenza !
Oggi (magari quelle stesse madri) ci chiamano per aiutarle a gestire un bambino percepito come molto dipendente da loro, che vuol stare solo in braccio, che magari non accetta nessun altro, dorme solo con loro e piange non appena esse si allontanano o non appena viene avvicinato o affidato ad altre persone...
Oggi tante, sempre più mamme, si sfogano nei gruppi sui social dove esprimono fatica, frustrazione e talvolta senso di soffocamento di fronte ad un rapporto che le vede a totale disposizione affettiva e nutrizionale del proprio bambino, tanto da chiedere conferma sul proprio agire o addirittura chiedere come fare per "alleggerire" tale rapporto!

Non vale per tutte le madri e tutti i bambini, questo sia chiaro.
Né mi permetterei di criticare la teoria dell'attaccamento né il valore dell'allattamento, anche di un bimbo più grande, che invece sostengo a spada tratta!

Si tratta di riflessioni....che sta succedendo?

Parlare di allattamento a richiesta ad esempio ha una certa valenza se pensiamo al neonato e al bambino fino allo svezzamento, mentre ne ha tutt'altra se pensiamo ad un bambino di due anni.
Se per il neonato l'allattamento a richiesta è il meglio a livello nutrizionale poiché gli permette di ricevere quantitativamente e qualitativamente ciò che in quel momento gli serve inviando messaggi ben precisi alla ghiandola mammaria che reagisce di conseguenza regolando la propria produzione, è anche vero che un bimbo completamente svezzato non ha più bisogno di tali ritmi a livello nutrizionale poiché riceve (o dovrebbe ricevere) tutti i nutrienti dall'alimentazione solida che ormai dovrebbe essere consolidata.
Certo il seno non è solo nutrizione, è vero! Per un neonato è contenimento, abbraccio, coccola: è ritrovare quelle particolari sensazioni che aveva vissuto nel ventre materno fino a poco prima!
Per un neonato, appunto! Perché conosciamo il valore dell'esogestazione, di quei nove mesi/un anno in cui per un corretto sviluppo emotivo e psicofisico occorre assicurargli condizioni quanto più simili a quelle dell'utero, e il seno è una risposta universale, non si può sbagliare!
Il bimbo però cresce e sviluppa molte capacità tra cui l'indipendenza; certo un bimbo cresciuto nell'alto contatto è facilitato proprio in questa acquisizione, è vero, dovrebbe essere un individuo maggiormente sicuro di sé poiché nato e cresciuto in una situazione molto rassicurante e confortante emotivamente e affettivamente parlando! Ma allora come dovrebbe evolvere a quest'età il significato del seno materno per lui? E' ancora il (solo) mezzo che gli da tale rassicurazione? E in che misura? Fino a che punto è corretto (per il suo sviluppo) che sia l'unico mezzo, o quasi, perché il bambino sia rassicurato circa il rapporto emotivo-affettivo con la madre? Quanto tempo e spazio potrebbe togliere allo sviluppo di un diverso modo di rapportarsi tra mamma e bambino tenendo conto delle sue tappe evolutive?
Non mi è mai piaciuto sentir parlare di bimbi che "usano il seno come cuccio", ma forse riflettendo non mi piace quando si tratta di neonati. Perché per un neonato il seno è effettivamente anche rassicurazione e consolazione. Ma per un bimbo, ad esempio, di due anni...quanto si può dire che sia sempre corretto e utile nell'ottica della sua maturazione affettivo-relazionale attaccarsi al seno materno a scopo appunto emotivo e di rassicurazione (chiarito che non è più essenziale a scopo nutrizionale) a richiesta (intendiamoci, la coccola al seno la sera prima di nanna o al mattino nel lettone appena sveglio, piuttosto che quando il bimbo si fa male o in situazioni molto particolari e circoscritte, perché no!!)? E quanto è giusto per la madre? Ho sempre pensato che se per mamma e bimbo un'abitudine, un comportamento o un modo di relazionarsi sono ben accetti da ambo le parti, se rendono felici e soddisfatte ambo le parti, allora siano quelli giusti per loro. Ma molto spesso una delle due parti, nello specifico la mamma, alla lunga avverte la fatica e il peso (talvolta la frustrazione) di tale "dipendenza" in modo crescente. Quante mamme che allattano a richiesta un bimbo "grande" non si sentono molto vincolate da tale relazione? Legate da sentirsi talvolta un pochino "soffocare"? Da desiderare maggior indipendenza? Un occhio in più al proprio lato femminile e anche sessuale? Quante non hanno percepito il desiderio di trovare altri modi/tempi/spazi  con cui relazionarsi col proprio bimbo senza percepire che egli non cerchi in loro solamente la tetta? Senza sentirsi "una tetta"! Quante mamme sento preoccupate che il bimbo le desideri solamente per la tetta per poi perdere interesse!
Se la madre è frustrata e infastidita pensiamo realmente che il bambino non lo percepisca??? Pensiamo sul serio che un seno dato a richiesta con fastidio e frustrazione mantenga i suoi benefici???
Probabilmente il bambino percepisce tali sentimenti e non riuscendo a dar loro un nome si attacca ancora di più a tale relazione seno-mediata in quanto più familiare, immediato e utilizzato mezzo di rassicurazione legato alla figura di sua madre. Dando vita ad un circolo vizioso....
Ora proviamo a rovesciare la medaglia....
...Siamo sicuri che la "dipendenza" dal seno talvolta non parta proprio dalla mamma? Una mamma che per prima vede nel rapporto seno-mediato con il figlio il modo più rassicurante ed immediato per interagire con lui in ogni situazione? L'unico che rappresenti per lei una strada ben solcata e di sicuro successo? Quella strada che magari all'inizio è stata un pochino in salita ma che con l'aiuto di qualcuno è presto divenuta una facile discesa? E' vero infatti che offrendo il seno al neonato non si sbaglia! Ha fame, sete, sonno, bisogno di rassicurazione e consolazione, mal di denti, mal di pancia? Al seno il neonato si calma praticamente sempre! Evviva il seno! Potremmo dire che rende tutto più facile: potenzialmente non ho bisogno di interpretare i bisogni che il bambino manifesta attraverso il pianto non sapendo esprimerli diversamente, quindi poco importa se sia fame o stanchezza, il seno è la risposta. Ma il neonato cresce, diviene un bimbo che impara a manifestare i bisogni in modi diversi e sempre più chiari. Se comunque la risposta resterà sempre e comunque il seno (poiché come detto sopra di facile ed immediata attuazione e di sicuro risultato), come posso pretendere una volta che mi sarà stancata di tale "dipendenza" che lui accetti di buon grado risposte di diverso tipo? E inoltre, sarò capace io, madre, di rispondere con diverse modalità di interazione ai diversi bisogni espressi? Probabilmente capace sì, solo che non lo so perché non l'ho mai fatto avendo a disposizione il seno, risposta universale.
Non me ne vogliate mamme, le mie sono riflessioni, spunti, nulla di universalmente applicabile, sappiamo che non ci sono regole fisse e che ogni mamma conosce al meglio il proprio bimbo e solo lei sa la risposta.
Vi regalo questi spunti, ciascuna nel suo intimo saprà bene che farsene!



lunedì 11 luglio 2016

La SCELTA di tutto ciò che ruota attorno alla maternità è come entrare in una GALLERIA



Se la vita è fatta di scelte da compiere, il periodo della maternità è l'inizio di tutta una serie di scelte  di grande responsabilità, visto e considerato che non riguardano solamente la Madre ma anche il Nascituro, fin da quando esso non è che un desiderio e un pensiero nella mente dei suoi genitori!

Si sceglie anzitutto di essere disposte a dedicare uno spazio dentro di sè, emotivo e mentale prima che fisico, per un'altra persona, mettendo da parte un pezzettino di se stesse per dar la priorità ad essa.
Si sceglie quindi di lasciare che questo spazio, da mentale ed emotivo diventi fisico con la gravidanza, dopo aver valutato e scelto quello che si riteneva essere il tempo migliore per fare questo spazio.
A quel punto ecco che si presentano le prime necessarie scelte "pratiche" come il/la professionista dal quale farsi accompagnare attraverso i bilanci di salute in gravidanza e nella preparazione alla nascita e le tempistiche per effettuare i primi controlli, ecografico ed ematochimici.
Tali scelte sono estremamente connesse tra loro poichè dall'impostazione del primo ne dipendono i secondi. Scegliendo ad esempio un ginecologo probabilmente i controlli potrebbero essere più frequenti ed in numero superiore, mentre facendosi accompagnare da un'ostetrica l'approccio potrebbe essere meno medicalizzato.
Si valuta se effettuare solamente i controlli previsti per la gravidanza fisiologica o se approfondirli con altre indagini, si sceglie quando astenersi dal lavoro, l'ospedale di riferimento per il parto o se intraprendere il percorso per partorire in casa, quindi si sceglie in riferimento ai primi controlli al neonato alla nascita e all'eventuale somministrazione di farmaci o integratori, ma si sceglie persino il destino della propria placenta!
Nato il bimbo si sceglie un pediatra, quindi si sceglie se allattare o meno, quando e come svezzare, se vaccinarlo o meno e quando e in che misura.
Si sceglie di adoperare i pannolini usa e getta oppure quelli lavabili, si sceglie il passeggino e anche di portare in fascia.
Si sceglie di farlo dormire con se, oppure no.
Proseguendo si sceglie se valutare di affidarlo ai nonni, se presenti, in vista del ritorno al lavoro, oppure ad un asilo nido, quindi si sceglie la materna, poi la scuola elementare, lo sport da fargli fare e poi le scuole medie....

Dal momento in cui si SCEGLIE di condividere la propria vita con un figlio, quante SCELTE!!!

E compierle è un po' come entrare in una galleria che porta ad una meta (la vita con un figlio, appunto). La strada principale, che si staglia davanti a se, è il risultato di tutta la serie di scelte che si sono compiute sognando, immaginando e quindi concretizzando quella meta. E più le scelte sono consapevoli, frutto di una buona informazione e dell'interiorizzazione dei risvolti ad esse connessi, maggiormente quella strada sarà liscia, avrà corsie larghe e ben segnate e la galleria sarà illuminata.

                                     

Al contrario, quanto più tali scelte saranno un semplice seguire il flusso dei mezzi che percorrono tale strada, tanto più il terreno potrebbe essere sconnesso, mal segnato e la galleria scarsamente illuminata, potremmo dire che il cammino è INCERTO...perchè frutto di scelte compiute inconsapevolmente (senza una buona informazione a sostenerle) o addirittura compiute da altri!


Riuscite a capire quanto è importante quindi che le nostre SCELTE  appoggino su BASI SOLIDE?
Ma la metafora della galleria non si ferma qui!
Anche la scelta più consapevole e solida può e deve essere riconsiderata alla luce di nuovi risvolti. La vita quotidiana è dinamica, le situazioni cambiano, possono accadere fatti che costringono a rimettersi in discussione e cambiare determinate scelte in altre nuove o diverse ma più calibrate per la nuova situazione. Ecco che percorrendo la galleria possiamo imboccare un'uscita di emergenza o uno svincolo, che portano ad un altro percorso, evidentemente migliore per quel momento.  Le uscite di emergenza e gli svincoli stanno lì ad indicarci la possibilità reale di cambiare una scelta in un'altra al bisogno, senza che cambi la meta finale (la vita col figlio), poichè sono solamente strade diverse che portano ad essa!

Rivedere una scelta e cambiarla strada facendo in caso se ne presenti la necessità non è una sconfitta, ma un forte senso di maturità e responsabilità, qualità così importante in un genitore!!!!
Buone SCELTE  a tutti!!